IV LETTERA DELLE HEROIDES DI OVIDIO:
FEDRA DICHIARA IL SUO AMORE PER IL FIGLIASTRO IPPOLITO

Si tamen ille prior, quo me sine crimine gessi, candor ab insolita labe notandus erat, at bene successit, digno quad adurimur igni.
Peius adulterio turpis adulter abest. Si mihi concedat Iuno fratremque virumque, Hippolytum videor praepositura Iovi.

Namque mihi referunt, cum se furor  ille remisit, omnia. Me tacitam conscius urit amor.
Forsitam hunc generis fato reddam amorem, et Venus ex tota gente tributa petat.
Hoc quoque fatale est: placuit domus una duabus.
Me tua forma capit; capta parente soror.
Theseïdes Theseusque duas rapuere sorores.
Tempore quo nobis inita est Cerealis Eleusin, Gnosia me vellem detinuisset humus.
Tunc mihi praecipue, nec non tamen ante placebas: acer in extremis ossibus haesit amor.
Candida vestis erat, praecincti flore capilli, flava verecundus tinxerat ora rubor:
quemque vocant aliae vultum rigidumque trucemque, pro rigido, Phaedra iudice, fortis erat.
Sint procul a nobis iuvenes ut femina compti; fine coli modico forma virilis amat.
Prima securigeras inter virtute puellas te peperit, nati digna vigore parens.
Si quaeras ubi sit, Theseus latus ense peregit; nec tanto mater pignore tuta fuit.
At ne nupta quidem, taedaque accepta iugali.
Cur, nisi ne caperes regna paterna nothus?
Addidit  et fratres ex me tibi. Quos tamen omnis non ego tollendi causa, sed ille fuit.
O utinam nocitura tibi, pulcherrime rerum, in medio nisu viscera rupta forent!
Nec, quia privigno videar coitura noverca, terruerint animos nomina vana tuos.
Ista vetus pietas, aevo moritura futuro, rustica Saturno regna tenente fuit.
Iuppiter esse pium statuit, quodcumque iuvaret: et fas omne facit fratre marita soror.

Che se quella purezza, che conservai immune da colpa, doveva essere segnata da una macchia non ordinaria, è avvenuto ciò che doveva avvenire, poiché ardo d'un fuoco degno! Non c'è per me l'adultero turpe, peggiore dello stesso adulterio. Anche se Giunone mi cedesse il suo fratello e sposo, credo che io preferirei Ippolito a Giove!
Tutto ciò mi raccontano dopo, quando il mio furore si placa. L'amore ch'io solo conosco arde in me segretissimo. E forse questo amore è da ricollegare con il destino della mia stirpe; forse da tutti i suoi membri esige Venere un tributo.
Anche questo è fatale; la stessa famiglia piacque a due donne; la tua bellezza ha preso me, tuo padre ha innamorato di sé mia sorella. Teseo e il figlio di Teseo han rapito due sorelle.
Allora, quando voi entraste nella Cereale Eleusi, io avrei voluto che la terra di Gnosia mi trattenesse. Allora più  che mai  (ma pure anche prima!) tu mi piacesti; e fin nel midollo dell’ossa mi si apprese l’amor tuo.
La tua veste era candida, le tue chiome eran cinte di fiori; un rossor verecondo tingeva il tuo volto abbronzato; e quell’aspetto, che le altre donne dicono truce e feroce, agli occhi di Fedra  non parve duro, ma maschio.
Lungi da noi i giovini azzimati come donne! la bellezza virile vuol essere curata moderatamente.
La più valorosa tra le fanciulle portatrici di scure ti ha partorito; e la madre era per valore degna del figlio. Se tu domandi ov’ella sia, Teseo le trapassò il fianco con la spada; non bastò a salvarla un sì gran pegno d’amore!
Che dico? ella non fu neppure sua moglie ; egli non accese per lei la fiaccola nuziale!
E perché se non per impedire a te, come bastardo, di occupare il regno paterno? E, da me, ti diede dei fratelli; non io, però, ma egli fu la causa della loro adozione.
Oh, se queste viscere, che dovevano a te, bellissimo fra i mortali, far tanto danno, oh se mi fossero state strappate nell’atto del partorire!
Né atterriscano i nomi vani l’animo tuo, se, tua matrigna, io giaccia col mio figliastro; questo antiquato scrupolo, che gli anni successivi dovevano abolire, è del tempo che Saturno reggeva il suo regno primitivo. Giove ha decretato che è pio tutto ciò che piace, e il suo connubio di fratello con sorella rende lecito ogni connubio.

Nec labor est. Celare licet. Pete munus ab illa. Cognato poterit nomine culpa tegi.
Viderit amplexus aliquis, laudabimur ambo: dicar privigno fida noverca meo.
Non tibi per tenebras duri reseranda mariti ianua, non custos decipiendus erit.
Ut tenuit domus una duos, domus una tenebit.
Oscula aperta dabas, oscula aperta dabis.
Tutus eris mecum laudemque merebere culpa, tu licet in lecto conspiciare meo.

Tolle moras tantum, properataque foedera iunge! Qui mihi nunc saevit, sic tibi parcat Amor.
Non ego dedignor supplex humilisque precari.
Heu! Ubi nunc fastus altaque verba iacent? Et pugnare diu, nec me submittere culpae certa fui. Certi siquid haberet amor. Victa precor, genibusque tuis regalia tendo bracchia. Quid deceat, non videt ullus amans.
Depuduit, profugusque pudor sua signa reliquit. Da veniam fassae, duraque corda doma!

Flecte feros animos! Potuit corrumpere taurum mater: eris tauro saevior ipse truci?
Per Venerem, parcas, oro, quae plurima mecum est sic numquam quae te spernere possit, ames.

Addimus his precibus lacrimas quoque. Verba precantis perlegis, et lacrimas finge videre meas.

Del resto, non è cosa difficile; potremo nasconderci.
Trarrai anzi vantaggio dalla parentela: la colpa si potrà nascondere sotto il nome di questa. E, se alcuno ci vedrà abbracciati, saremo entrambi lodati: si dirà che io, matrigna, sono affezionata al mio figliastro.
Non dovrai, così, aprire nelle tenebre notturne la porta di un feroce marito; non avrai custodi da eludere. Come vivemmo in due nella stessa casa, nella stessa casa vivremo; mi baciavi palesemente, palesemente mi bacerai. Sarai, meco, sicuro e con la colpa acquisterai lode anche se tu sia veduto nel mio letto.
Bando agli indugi, dunque! Affrettati a congiungere il connubio! e ti sia propizio l’Amore, che ora è con me così crudele! Non disdegno di pregarti così, umilmente e supplichevolmente; ahi! dov’è ora l’orgoglio, dove sono le altere parole? Fui risoluta per gran tempo a resistere e a non cedere alla colpa. Ma cos’ha, che sia sicuro, l’amore?
Ora, vinta, io ti prego, e protendo alle tue ginocchia le mie braccia regali; non badano gli amanti al decoro. Non ho più vergogne; il pudore, transfuga, ha fatto getto delle sue armi; perdonami, poiché così mi confesso, e vinci il tuo duro cuore!
Piega l’anima indomita! Mia madre riuscì a sedurre un toro; sarai tu più crudele di un toro feroce?
Per Venere, di cui trabocco, ti prego; pietà di me! Così non ami tu mai donna che ti disdegni.
Alla preghiera aggiungo anche le lacrime. Le parole di quella che ti invoca, tu le leggi; le mie lacrime, immagina di vederle!

Ovidio
Heroides
le fonti letterarie
Ippolito
menù