GLI AUTORI | ||
E. MONTALE | I. CALVINO | D. PENNAC |
F. KAFKA | P. HANDKE | E. STRITTMATTER |
W. ISER | ||
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Eugenio
MONTALE
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E' ancora possibile la poesia ? | La mia musa | |
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E'
ancora possibile la poesia ?
Ho scritto poesie e per queste sono stato premiato, ma sono stato anche bibliotecario, traduttore, critico letterario e musicale e persino disoccupato per riconosciuta insufficienza di fedeltà a un regime che non potevo amare. Pochi giorni fa è venuta a trovarmi una giornalista straniera e mi ha chiesto: come ha distribuito tante attività così diverse? Tante ore alla poesia, tante alle traduzioni, tante all'attività impiegatizia e tante alla vita? Ho cercato di spiegarle che non si può pianificare una vita come si fa con un progetto industriale. Nel mondo c'è un largo spazio per l'inutile, e anzi uno dei pericoli del nostro tempo è quella mercificazione dell'inutile alla quale sono sensibili particolarmente i giovanissimi.
In ogni modo io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto
assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi
titoli di nobiltà. Ma non è il solo, essendo la poesia una produzione
o una malattia assolutamente endemica e incurabile. Sono qui perché ho scritto poesie: sei volumi, oltre innumerevoli traduzioni e saggi critici. Hanno detto che è una produzione scarsa, forse supponendo che il poeta sia un produttore di mercanzie; le macchine debbono essere impiegate al massimo. Per fortuna la poesia non è una merce. [...] Sotto lo sfondo così cupo dell'attuale civiltà del benessere anche le arti tendono a confondersi, a smarrire la loro identità. Le comunicazioni di massa, la radio e soprattutto la televisione, hanno tentato non senza successo di annientare ogni possibilità di solitudine e di riflessione. Il tempo si fa più veloce, opere di pochi anni fa sembrano «datate» e il bisogno che l'artista ha di farsi ascoltare prima o poi diventa bisogno spasmodico dell'attuale, dell'immediato. [...] In tale paesaggio di esibizionismo isterico quale può essere il posto della più discreta delle arti, la poesia? La poesia così detta lirica è opera, frutto di solitudine e di accumulazione. Lo è ancora oggi ma in casi piuttosto limitati. [...] Avevo pensato di dare al mio breve discorso questo titolo: potrà sopravvivere la poesia nell'universo delle comunicazioni di massa? È ciò che molti si chiedono, ma a ben riflettere la risposta non può essere che affermativa. Se s'intende per poesia la così detta bellettristica è chiaro che la produzione mondiale andrà crescendo a dismisura. Se invece ci limitiamo a quella che rifiuta con orrore il termine di produzione, quella che sorge quasi per miracolo e sembra imbalsamare tutta un'epoca e tutta una situazione linguistica e culturale, allora bisogna dire che non c'è morte possibile per la poesia. E.Montale,
Sulla poesia, Mondadori, Mi 1976 |
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Il commento di LUCIA |
LA
POESIA: L'INUTILE CHE ARRICCHISCE Eugenio Montale, ricevendo il premio Nobel per la letteratura nel 1975, si pone la domanda se sia ancora possibile la letteratura.
La condizione del mondo d’oggi, di “esibizionismo isterico”,
di “bisogno spasmodico dell’attuale”, annienta le fonti per
le quali i sentimenti di un artista si trasformano in versi, ovvero la
solitudine, la riflessione e il tempo. Quest’ultimo, accelerato
dall’attuale società del benessere, è quello che soprattutto corrode
quest’arte –quale è di fatto la poesia- impoverendone il contenuto
e azzerandone le qualità, anzi relegandola in secondo piano per far
spazio ad una produzione economicamente utile – qualità estranea ad
un’autentica opera lirica.
Appoggiata dai mezzi di comunicazione, soprattutto dalla televisione, la
divulgazione di una letteratura di mercato o “bellettristica”
andrà via via sempre crescendo, per la diffusione dell’istruzione e
di una più consapevole importanza attribuita alla cultura. La
domanda di Montale però, se la “vera” poesia (ovvero quella che
egli definisce come “prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai
nocivo” e ancora come “una produzione o una malattia
assolutamente endemica e incurabile”) sia ancora possibile, ha
fortunatamente una risposta positiva. Sì,
la poesia, arte umile, che non si impone ma che si fa piacere, che non
diventa oggetto del mercato ma che viene dettata da un’intima e
autentica “Musa”, è imperitura
–afferma Montale-, non destinata a soccombere alla ruggine della
mutevolezza dei tempi. A cura di Lucia Radillo |
Il
commento
di FRANCESCA |
Il poeta Eugenio Montale, quando nel 1975 ricevette il premio Nobel per
la letteratura, pronunciò un discorso non troppo formale, chiedendosi
che cosa fosse la poesia e se essa fosse ancora possibile nella civiltà
industriale. Egli si definiva infatti, prima ancora che poeta, una
persona comune : “sono stato anche bibliotecario, traduttore, critico
letterario e musicale, perfino disoccupato” pur di evitare di servire
un regime in cui non credeva. Questi i punti fondamentali
della sua riflessione.
“…non si può pianificare una vita come si fa con un progetto
industriale…”
“…ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai
nocivo…”
L’attuale civiltà del benessere tende ad impoverire l’arte commercializzandola, ma la vera poesia, intesa come insieme di riflessioni profonde e sincere, può superare l’influsso negativo del consumismo.
“…La poesia così detta lirica è frutto di solitudine e di accumulazione…”. Ma e’ proprio la disponibilità alla riflessione interiore, a ritagliarsi degli spazi nella frenesia della vita moderna che tende a mancare: non resta tempo per “la più discreta delle arti”, la poesia.
Secondo Montale sì: se per poesia si intende quella che riesce ad esprimere in sé “tutta un’epoca e tutta una situazione linguistica e culturale”, allora “non c’è morte possibile per la poesia ” A cura di Francesca Tominz |
Il commento di GIULIA |
Eugenio Montale, nel 1975, nell’atto di ricevere il solenne premio
Nobel per la letteratura, compie un discorso inaspettato, adottando un
linguaggio semplice e modesto che sembra smitizzare la poesia e la
propria produzione più che esaltarla.
Tuttavia afferma con convinzione il valore della vera poesia, che , pur
vivendo in mondo proteso al consumismo e alla mercificazione delle cose
inutili, conseguenza dell’attuale civiltà del benessere dove anche il
prodotto artistico tende a smarrirsi perdendo la sua identità, consiste
nel raccoglimento e nella riflessione delle proprie idee. Il poeta
conclude interrogandosi sul ruolo della poesia e sul posto che essa
occupa in questa società distinguendo la poesia “bellettristica”,
destinata a crescere smisuratamente per la diffusa mania di
pubblicazione, da quella che “sorge quasi per miracolo e sembra
imbalsamare tutta un’epoca” che non morrà mai. A cura di Giulia Alberi |
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La mia Musa
La mia Musa è lontana: si direbbe
(
è il pensiero dei più ) che mai sia esistita.
Se
pure una ne fu, indossa i panni dello spaventacchio
alzato
a malapena su una scacchiera di viti.
Sventola come può; ha resistito a monsoni
restando
ritta, solo un po' ingobbita.
Se
il vento cala sa agitarsi ancora
quasi
a dirmi cammina non temere,
finché
potrò vederti ti darò vita.
La mia Musa ha lasciato da tempo un ripostiglio
di
sartoria teatrale; ed era d'alto bordo
chi
di lei si vestiva. Un giorno fu riempita
di
me e ne andò fiera. Ora ha ancora una manica
e
con quella dirige un suo quartetto
di
cannucce. È la sola musica che sopporto.
E.Montale, Diario del '71 e del '72, in Opere complete, Mondadori, Mi 1996 |
Il commento di CHIARA e FRANCESCO |
Da
questa composizione in versi liberi, presentata da Eugenio Montale nel
suo penultimo libro di versi (Diario del ’71 e del ’72 ),
emerge con chiarezza la sua concezione di poesia.
La solennità del titolo potrebbe indurre il lettore a immaginare un medesimo tono all’interno dell’ opera; questa solennità invece si rivela puramente ironica: l’immagine classica d’ispirazione poetica della Musa qui è rappresentata allegoricamente da figure semplici ed umili, come lo “spaventacchio” o un vecchio abito teatrale. Montale si distacca dallo stile elevato e sontuoso della poesia classica per intraprendere un cammino di riflessione più concreto. Le scelte stilistiche si riallacciano a quelle della conversazione comune attraverso immagini di oggetti poveri; e tuttavia egli attribuisce alla poesia una grande importanza, almeno sul piano personale. Il rapporto tra il poeta e la sua Musa è comunque positivo e sincero: non verrà mai a mancare. A cura di Chiara Torselli e Francesco Toncich |
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Nato a Genova nel 1896 da una agiata famiglia borghese, dopo aver frequentato le scuole tecniche intraprende studi di canto e musica lirica, che però è costretto a interrompere a causa della morte del maestro e dello scoppio della prima guerra mondiale, nella quale è arruolato come ufficiale di fanteria a Vallarsa (Trento). Continua a sviluppare la sua vasta cultura da autodidatta. A Torino, nel 1922, sostiene il movimento antifascista, collaborando con la rivista "Primo Tempo" ed avvicinandosi all’attività politico-culturale di Piero Gobetti (1901-1926). Proprio nelle edizioni di Gobetti, nel 1925, compare la prima raccolta poetica di Montale, Ossi di Seppia. Nello stesso anno egli firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce. Nel 1928 viene nominato direttore del Gabinetto scientifico-letterario Viesseux, a Firenze; alla fine degli anni Trenta verrà rimosso dall’incarico perché non iscritto al partito fascista. Nel ’39 pubblica la raccolta Le Occasioni. Dal 1947 Montale è a Milano dove si dedica al giornalismo: è redattore, critico musicale e critico letterario del “Corriere della Sera”. La produzione poetica di questi anni sfocia nella pubblicazione di La Bufera e Altro nel 1956. A questa raccolta ne seguiranno altre: Satura (1971), Diario del ’71 e del ’72, (1973), Quaderno di 4 Anni (1972). Contemporaneamente cresce la fama del poeta; è nominato senatore a vita nel 1967 e nel 1975 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura. Muore a Milano nel 1981. La poesia di E.Montale, pur nell'evoluzione delle sue diverse fasi (dai toni scabri, alle metafore oscure, al linguaggio parlato), si caratterizza sempre per la ricerca di un messaggio essenziale, per l'espressione di un dolore esistenziale, in un rapporto critico e "disarmonico" con la realtà. A cura di Giulia Alberi e Alessio Maiuri |
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SITOGRAFIA
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Italo CALVINO
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Chi è Italo Calvino |
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Perché
leggere i classici?
[...] 3. I classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando si impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale. [...] 6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. [...] 9. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscere per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, insoliti. Naturalmente questo avviene quando un classico "funziona" come tale, cioè stabilisce un rapporto personale con chi lo legge. Se la scintilla non scocca, niente da fare: non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo per amore. Tranne che a scuola: la scuola deve farti conoscere bene o male un certo numero di classici tra i quali (o in riferimento ai quali) tu potrai in seguito riconoscere i "tuoi" classici. La scuola è tenuta a darti degli strumenti per esercitare una scelta, ma le scelte che contano sono quelle che avvengono fuori e dopo ogni scuola. E' solo nelle letture disinteressate che può accadere d'imbatterti nel libro che diventa il "tuo" libro. [...] 11. Il "tuo" classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto o magari in contrasto con lui. [...] 12. [...] "Perché leggere i classici anziché concentrarci su letture che ci lasciano capire più a fondo il nostro tempo?" e "Dove trovare il tempo e l'agio della mente per leggere dei classici, soverchiati come siamo dalla valanga di carta stampata dell'attualità? [...] Il massimo rendimento della lettura dei classici si ha da parte di chi ad essa sa alternare con sapiente dosaggio la lettura d'attualità. [...] L'attualità può essere banale e mortificante, ma è pur sempre un punto in cui situarci per guardare in avanti o indietro. Per poter leggere i classici si deve pur stabilire "da dove" li stai leggendo. [...] Aggiungiamo dunque: 13. E' classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno. [...] Ora dovrei riscrivere tutto l'articolo facendo risultare ben chiaro che i classici servono a capire chi siamo e dove siamo arrivati [...] Poi dovrei riscriverlo ancora una volta perché non si creda che i classici vanno letti perché "servono" a qualcosa. La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici. I. Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Mi 1991 |
Perché leggere i classici è un breve articolo del 1981 in cui Calvino cerca di definire che cosa siano, a che cosa servano i libri dei grandi autori, quale atteggiamento sia opportuno tenere nei loro confronti. Le domande non sono semplici, e Calvino propone una serie di definizioni che si susseguono, correggendosi, arricchendosi, toccando altri aspetti della questione. Non è agevole, quindi, riassumere o commentare il senso del testo , tanto esso è denso e ricco, scritto con la consueta "esattezza" e "leggerezza" di Calvino: meglio invitarvi a leggerlo nella sua versione originale (come peraltro Calvino sempre consiglia nei confronti dei classici). E' un testo breve, di una decina di pagine, facile da reperire, in cui ciascuno potrà trovare un'osservazione che meglio risponda alla propria esperienza. Ci limitiamo ad osservare che in queste poche pagine ritroviamo risposte molto vicine a quelle che altri autori (Montale, Pennac, Kafka,...) hanno offerto alle nostre domande fondamentali. Anzi, potremmo dire che questo piccolo saggio ci ha aiutato a definirle meglio, le nostre domande:
a cura di E.Batagelj |
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Italo Calvino ci propone spesso nei suoi romanzi, oltre che nei suoi saggi, riflessioni sul significato, sull'atto stesso della lettura. Qualche suggestione: |
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Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo "Se una notte
d'inverno un viaggiatore" di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti.
Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti
circonda sfumi nell'indistinto. La porta è meglio chiuderla; di
là c'è sempre la televisione accesa.
I. Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore, Einaudi, To 1979 |
E' un romanzo che parla di romanzi, di Lettori e di Lettrici. Da leggere. |
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Con ciò,
tutto era finito. Si salutarono, lei tornò
al suo posto, lui al suo e si rimise a leggere. Era stato un intermezzo
durato il tempo giusto, né più né meno, un rapporto umano non
antipatico (la signora era cortese, discreta, docile) appunto perché
appena accennato. Ora nel libro ritrovava un'adesione alla realtà molto
più piena e concreta, dove tutto aveva un significato, un'importanza,
un ritmo. Amedeo si sentiva in una condizione perfetta: la pagina
scritta gli apriva la vera vita, profonda e appassionante, e alzando gli
occhi ritrovava un casuale ma gradevole accostarsi di colori e
sensazioni, un mondo accessorio e decorativo, che non poteva impegnarlo
in nulla.
I.Calvino, L'avventura di un lettore, in Gli amori difficili, Einaudi, To 1970
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Non lasciatevi ingannare dall'ironia di Calvino: il racconto mette in luce un aspetto critico della passione per la lettura, che può anche "distrarre" dalla realtà. Chi preferisce vivere nel mondo dei libri piuttosto che nelle situazioni reali può vivere le esperienze e le emozioni altrui, ma rischia di perdere le occasioni di viverle in prima persona. |
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Italo Calvino nasce nel 1923 a Santiago de las Vegas a Cuba. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Sanremo. Renitente alla leva, partecipa in gioventù alla lotta partigiana, esperienza che segna lo scrittore e sulla quale si basa il suo primo romanzo d’impronta neorealista, Il sentiero dei nidi di ragno, scritto nel 1947, e la raccolta di racconti Ultimo viene il corvo. Lo scrittore diventa molto noto attorno gli anni ’50-’60, quando pubblica la trilogia I nostri antenati, composta dai tre brevi romanzi fantastici Il barone rampante, Il visconte dimezzato e Il cavaliere inesistente. L’interesse per la tradizione narrativa popolare si concretizza nella raccolta Fiabe italiane del 1956. Negli anni ’60 e ’70 continua a comporre racconti e romanzi sperimentando modalità narrative e linguistiche sempre nuove (Marcovaldo, Le cosmicomiche, Le città invisibili, Gli amori difficili, Se una notte d’inverno un viaggiatore…). I saggi Lezioni americane, escono postumi dopo la sua morte, avvenuta a Siena nel 1985 per un ictus. A cura di Krizia Nardini |
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SITOGRAFIA
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Daniel PENNAC
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Chi è Pennac |
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Il cosa-leggerà-la gente (o i diritti imprescrittibili del lettore) -Il
diritto di saltare le pagine -Il
diritto di non finire un libro -Il
diritto di rileggere -Il
diritto di leggere qualsiasi cosa
-Il
diritto al bovarismo -Il
diritto di leggere ovunque -Il
diritto di spizzicare -Il
diritto di leggere a voce alta D.Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli, Mi 1993
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da “Il diritto di non leggere”
”...Il dovere stesso di educare consiste, in fondo, insegnando a leggere ai bambini, iniziandoli alla Letteratura, nel fornire loro gli strumenti per giudicare liberamente se provano o meno “il bisogno di libri”. Perché, se possiamo tranquillamente ammettere che un singolo individuo rifiuti la lettura, è intollerabile che egli sia –o si ritenga- rifiutato da essa…”.
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Il
commento di FRANCESCA1
Affermando
che ciascuno di noi ha “il diritto di non leggere”, Pennac ci offre
una spiegazione del perché a scuola leggiamo, o siamo costretti a
leggere, alcuni libri.
Educare,
come dice Pennac, consiste nel fornire gli strumenti in grado di farci
capire se abbiamo o no “il bisogno di libri”.
Lo
scrittore proclama il “diritto di non leggere”, ma questo implica
quello di leggere: infatti per essere liberi di non leggere bisogna
poter scegliere. Bisogna quindi possedere alcune competenze che si
apprendono solo leggendo.
Queste
competenze sono fondamentali perché altrimenti vi è la possibilità
che non sia l’individuo a rifiutare la lettura, ma sia questa a
rifiutare lui. |
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da
”il diritto di leggere qualsiasi cosa” “…cerchiamo
degli scrittori, cerchiamo uno stile, basta con i compagni di giochi,
vogliamo compagni di essere…” |
Quando
da giovani cominciamo a leggere, ci imbattiamo in un po’ di tutto.
Ad
un certo punto ci accorgiamo però che non ci bastano più i poco
impegnativi romanzetti da quattro soldi che propongono una troppo
semplice, e quindi non sempre veritiera, visione della vita. Siamo
diventati lettori più maturi; cerchiamo qualcosa di più profondo, come
dice Pennac, vogliamo “compagni di essere”, non solo passatempi.
Ma
chi sono questi “compagni di essere”? Sono una sorta di “anima
gemella letteraria”,
personaggi con cui si condivide molto, sotto molti punti di vista |
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da “Il diritto di tacere”
“…L’uomo
costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa
mortale…la lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di
nessun altro, ma che nessun altro potrebbe sostituire. Non gli offre
alcuna spiegazione definitiva sul suo destino ma intreccia una fitta
rete di connivenze tra la vita e lui. Piccolissime, segrete
connivenze che dicono la paradossale felicità di vivere, nel momento
stesso in cui illuminano la tragica assurdità della vita. Cosicché le
nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di
vivere…” |
L’uomo
si dedica ad attività economiche poiché vive e quindi ha
esigenze pratiche, ma si dedica alla lettura perché sa che morirà, sa
che oltre a lui c’è un mondo infinito, complesso, incomprensibile. La
lettura ma non gli offre nessuna spiegazione su cosa gli riserverà il
futuro. Ciononostante gli è utile per capire il suo presente, la realtà
in cui vive, per cogliere un possibile senso delle cose. a cura di Francesca Tominz |
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Altri
spunti da Come un romanzo
“…L’idea
che la lettura “umanizzi l’uomo” è giusta in linea generale, ma
ammette alcune tristi eccezioni……ma guardiamoci dall’associare a
questo teorema il corollario secondo il quale ogni individuo che non
legge dovrebbe essere considerato a priori come un potenziale bruto o un
cretino assoluto. Poiché, così facendo, faremmo passare la lettura per
un obbligo morale…” LA
CATTIVA LETTERATURA “…diciamo
a grandi linee che esiste quella che chiamerei una “lettura
industriale” che si limita a riprodurre all’infinito gli stessi tipi
di racconti, che fabbrica stereotipi a catena, fa commercio di buoni
sentimenti e sensazioni forti, prende al volo tutti i pretesti offerti
dall’attualità per sfornare una narrativa di circostanza, effettua
“studi di mercato” per piazzare secondo la “congiuntura” un
determinato tipo di “prodotto” che si ritiene debba infiammare una
determinata categoria di lettori…” |
Chi è Daniel PENNAC? |
Daniel Pennac, scrittore francese nato a Casablanca nel 1944, oggi è un insegnante di lettere in pensione. Vive a Parigi, nel caratteristico quartiere di Belleville, un universo multiculturale popolato da immigrati provenienti da tutto il mondo, quasi uno spaccato della realtà problematica del mondo contemporaneo. Questo quartiere e questi problemi prendono vita in molti romanzi di Pennac (La fata carabina, Il paradiso degli orchi, La prosivendola , Signor Malaussène, Ultime notizie dalla famiglia , Signori bambini…), i cui protagonisti appartengono ad una strana famiglia, che ruota attorno al personaggio di Benjamin Malaussène, dal singolare mestiere di capro espiatorio. Questi
romanzi sono caratterizzati da una forte dimensione fantastica (che
assume volentieri le forme del poliziesco),
attraverso cui Pennac ama rappresentare i problemi fondamentali
della società contemporanea. L'ultima sua opera narrativa, Ecco
la storia (2003), è invece un "metaromanzo", un gioco e
insieme una riflessione sui processi creativi, sugli straordinari
intrecci tra realtà e finzione. Nel suo saggio narrativo, Come un romanzo (1993), Pennac ha raccolto le sue riflessioni sulla lettura con la sensibilità di un lettore, scrittore, insegnante e genitore al tempo stesso; il senso di queste riflessioni viene riassunto nei dieci “diritti imprescrittibili del lettore”. |
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SITOGRAFIA
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